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388 | parte ii - capitolo x |
partire verso le due e mezzo; Luisa ritornò in sala dov’erano Ester, il professore e Maria. Avrebbe preferito che Maria restasse in loggia con lo zio, ma la signorina Ombretta, quando veniva gente, si appiccicava sempre a sua madre, stava lì tutta occhi, tutta orecchi. Luisa pensò che al momento di partire l’avrebbe mandata via e intanto la tenne con sè. Già, i fidanzati stavan da parte e discorrevano quasi sottovoce.
Alle due Luisa uscì ancora sulla terrazza, guardò col cannocchiale se per caso la gondola spuntasse al Tentiòn. La marchesa poteva forse antecipare, per il cattivo tempo. Nulla. Guardò poi a ponente. Il cielo non era più scuro di prima. Solamente, fra il monte Bisgnago e il monte Caprino, sopra la leggera insenatura che chiamano la Zocca d’i Ment, era fumato su dalla Vall’Intelvi e si affacciava fermo un nuvolone azzurrognolo, sinistro come un sopracciglio aggrottato sopra un occhio cieco. Pareva aver veduto il branco dei compagni torvi che si affacciavano al lago sopra Carona e voler essere della partita anche lui. Luisa cominciò a sentirsi inquieta, ad aver paura che la marchesa non venisse. Andò in giardinetto a guardar il Boglia. Il Boglia non aveva che nuvole bianche, leggere. Ritornò in sala e trovò Maria piantata davanti al professore e ad Ester, che ridevano, molto rossi in viso, l’uno e l’altra. «Sei malata?» aveva detto la piccina ad Ester. — No; perchè? — Perché vedo che ti tasta il polso. — Le cose erano avviate bene, pareva.