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386 | parte ii - capitolo x |
e ansante. «Dice davvero, signora Luisina? Dice davvero?»
Sì, ell’aveva parlato sul serio. Gli spiegò che se Ester veniva come aveva detto, alle due, li avrebbe, dopo una mezz’ora, lasciati soli. In loggia c’era sempre lo zio ma non conveniva seccarlo. Potevano restare in sala.
«E allora, con buon garbo, si fa il colpo» diss’ella. «Ma prima io voglio avere da Lei una promessa.»
«Che promessa?»
«Mi occorrono le famose carte.»
«Quando vorrà.»
«Guardi che le domando io, non Franco.»
«Sì, sì, quello che Lei fa è tutto bene. Domani Le porterò le carte.»
«Bravo.»
Luisa discorreva con la sua calza tra le mani, sferruzzando sempre, con un’apparenza di tranquillità ilare che non riusciva a coprir del tutto la sovreccitazione interna, predisposta dal giorno prima, cresciuta coll’insonnia, crescente a misura che si avvicinava il momento di partire. Nello stesso tono scherzoso della sua voce vibrava una corda insolita. Ne’ suoi capelli, sempre correttissimi, era un’ombra di disordine, come il tocco di un lieve soffio che le avesse sfiorata la fronte. Il professore non si accorse di nulla e andò in loggia a discorrere con l’ingegnere, a prendere consiglio anche da lui per una darsena che intendeva co-