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384 | parte ii - capitolo x |
i capelli. Egli non camminava, non respirava più come prima. Il passo e il respiro erano sempre inquieti, nervosi, rotti da sussulti che rispondevano al balenar d’immagini, Dio sa di quali immagini, sotto quel cranio lucido. Gli occhi non è a dire come brillassero. Solo quando guardavano Ester si stringevano, si velavano di una tenerezza pia, come se il professore avesse avuto paura di incenerire la diletta saettandole addosso senza precauzioni tutto il fuoco dell’anima. Esser guardata a quel modo non piaceva a Ester; e Luisa, la consigliera del professore, ebbe il coraggio di dirgli che non bisognava guardar la sua fidanzata stringendo gli occhi come fanno i cani affettuosi.
Il poveruomo promise che avrebbe cercato di non farlo più e lo fece ancora. Luisa era sempre il suo nume tutelare, l’oracolo che interrogava persino per sapere come dovesse comportarsi nei colloqui con la fidanzata. Nella sua umiltà egli era felice di venir accettato per un sentimento di stima. Pensare ch’Ester potesse amarlo d’amore gli pareva una presunzione ridicola. Per questo egli temeva sempre di sbagliare, con lei, di offenderla. Un dubbio che lo tormentava era questo: sarebbe o non sarebbe da arrischiare un bacio? Appena venutogli questo dubbio, l’aveva sottoposto a Luisa e Luisa, la sapienza incarnata, gli aveva risposto: «no, adesso è troppo presto. Bisogna che il primo bacio non venga nè troppo presto nè troppo tardi.»