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parte ii - capitolo x |
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Quando si trovò nel fresco, alto vallone che chiamano il Campò, sedette all’ombra del colossale castagno che vive ancora, ultimo di tre o quattro venerabili patriarchi. Guardava le case del suo nativo Castello appollaiate a tondo sopra un alto spuntone di scogli ombrosi e pensava alla povera mamma compiacendosi che almeno ella fosse in pace, quando sentì esclamare: «Oh cara Madonna!». Era la süra Peppina che veniva pure da Cressogno, disperata di non aver potuto trovare uova né a S. Mamette né a Loggio né a Cressogno. «Adess el me coppa el Carlo! El me mazza addirittüra, cara lee!» Avrebbe voluto andare anche a Puria, ma era mezza morta di stanchezza. Che paesi da cani! Che strade! Quanti sassi! «quand pensi al me Milan, cara lee!» Sedette anche lei sull’erba presso Luisa, le disse un mondo di tenerezze e volle che indovinasse con chi avesse parlato di lei, allora allora. Ma con la signora marchesa! Ma sicuro! «Ah cara lee! S’ciao!» Pareva che la Peppina avesse gran cose a dire e non osasse e ne provasse una molestia in gola, volesse pur farsele strappare. «Che roba!», esclamava ogni tanto «Che roba! Che discors! S’ciao, s’ciao!» Luisa taceva sempre. Allora l’altra cedette a quel gran prurito e buttò fuori ogni cosa. Era andata dal cuoco della signora marchesa per farsi prestare delle uova e la signora marchesa, udita la sua voce, aveva voluto assolutamente vederla, trattenerla a chiacchierare, e lei si era sentita nel cuore come una