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per il pane, per l'italia, per dio | 369 |
avere risposto che lo vedranno presto arrivare sopra un cavallo del Re Vittorio Emanuele. Allora il Padovano, gran motteggiatore, gli ha detto con tutta flemma: «ciò, eroe, sonistu anca el trombon, ti?». (Vedi che t’imito, poiché la ferula de’ pedanti mi è lontana, nelle tue scandalose familiarità col dialetto.) L’Udinese si è arrabbiato alquanto ma poi vi ha fatto su la sua brava sonatina di flauto. Il fatto strano è che nessuno di noi ha sentito fame. Però, levando la seduta, abbiamo deciso che l’abbigliamento del Fante verrà semplificato e ch’egli potrà benissimo fare a meno del giustacuore, modernamente detto sottoveste.
Ah noi faremmo a meno anche del pranzo per poter passare il Ticino col Re nell’aprile del 1856! Ne parlavamo tornando in città dalla colazione ideale. Il Padovano ha osservato che in aprile l’acqua è troppo fredda e che sarebbe meglio aspettare fino a giugno. Si diceva che gran cosa sarà l’Italia senza tedeschi. Ti assicuro ch’eravamo tutti entusiasti malgrado il vuoto dello stomaco. Tutti meno il Padovano, sempre; del quale va pur detto a sua scusa, che patisce la fame, o quasi, per non vedere austriaci, e che quantunque bussi all’uscio de’ quaranta si batterà meglio di qualche giovane che adesso si mangia un caiserlicchio a colazione e due a pranzo. Egli crede che torneremo un paese di cani e gatti. «Per esempio», diceva, «intendiamoci bene. Partiti i tedeschi, ciascuno a casa sua e guai a voi se venite a rom-