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360 | parte ii - capitolo ix |
brontola il curato. «L’è ben che ghe n’è minga», risponde lo zio. Il curato brontolò peggio di prima e lo zio, per consolarlo, gli fece una dotta dissertazione sui dialetti lombardi, concludendo: «ghe n’è no, ghe n’è minga e ghe n’è miga».
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Non credo che Pasotti verrà più in casa nostra. Me ne rincresce per quella povera Barborin che non potrà più venirci neppur lei, temo; ma non mi pento di quel che ho fatto.
Egli sa benissimo che sei a Torino da un pezzo, come qui lo sanno tutti. Ne ha parlato persino col Ricevitore, me lo disse la Maria Pon che stando alla cappella del Romìt li udì mentre scendevano discorrendo ad Albogasio Superiore. Quando è venuto da noi ha sempre affettato d’ignorarlo e ha domandato le tue notizie con quelle sue solite smancerie di premura e di amicizia. Oggi mi trova sola in giardinetto, mi domanda quanto ancora starai assente e se adesso sei a Milano. Io gli rispondo netto che mi meraviglio della sua domanda. Egli diventa pallido. «Perché?», dice. «Perché Lei va dicendo che Franco è in ben altro luogo.» Si confonde, protesta, freme. «Protesti pure», dico io. «Tanto è inutile. Lo so. Del resto Franco sta benissimo dov’è. Lo dica pure a chi crede.» «Lei mi offende!», diss’egli. Io non stetti tanto a riflettere e risposi: «sarà!». Allora se n’andò precipi-