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350 parte ii - capitolo ix

la insufficienza, ne stupiva, se ne doleva, ritentava la prova e sempre con eguale successo. Eppure sua moglie aveva ben torto; di questo non dubitava un momento; dunque vi doveva essere modo di dimostrarglielo. Bisognava studiare. Cosa? Come? Ne domandò a un prete dal quale si era confessato poco dopo il suo arrivo a Torino. Questo prete, un piccolo vecchietto contraffatto, focoso e dottissimo, lo invitò a casa sua, in piazza Paesana, si pose ad aiutarlo con entusiasmo, gli suggerì una quantità di libri, parte da legger lui, parte da mandare a sua moglie. Forte orientalista e gran tomista, provando una vivissima simpatia per Franco, attribuendogli un ingegno e una cultura forse superiori al vero, per poco non gli suggerì di studiar l’ebraico e volle poi assolutamente che leggesse S. Tommaso. Arrivò sino a dargli un abbozzo di lettera a sua moglie con gli argomenti che doveva sviluppare. Franco s’innamorò subito del vecchietto entusiasta che aveva poi, anche nell’aspetto, la purezza d’un Santo. Si mise a studiar S. Tommaso con grande ardore e vi durò poco. Gli parve di mettersi in un mare senza fine e senza principio, di non potervisi dirigere. Il disegno scolastico della trattazione, quella uniformità nella forma dell’argomentare pro e contro, quel gelido latino denso di profondo pensiero e incolore alla superficie, gli schiacciarono in tre giorni tutta la buona volontà. Gli argomenti dell’abbozzo di lettera non li capì che in piccola parte. Se li fece spiegare, li intese meglio, si dispose a