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338 | parte ii - capitolo viii |
«Sono le quattro», diss’ella. «Se vuoi partire manca mezz’ora.» Occorreva partire alle quattro e mezzo per essere sicuramente a Menaggio in tempo di pigliar il primo battello che veniva da Colico. Invece di andar a Como e quindi a Milano come s’era annunciato ufficialmente, Franco doveva scendere ad Argegno e salire a S. Fedele, calare in Svizzera per la Val Mara o per Orimento e il Generoso.
Franco accennò a sua moglie di tacere, di non svegliare Maria. Poi, ancora con un silenzioso gesto, la chiamò a sé.
«Parto», le disse piano. «Ieri sera sono stato cattivo, con te. Ti domando perdono. Dovevo risponderti diversamente, anche avendo ragione. Tu conosci il mio temperamento. Perdonami. Almeno non serbarmi rancore.»
«Per parte mia non ne sento affatto», rispose Luisa con dolcezza, come uno che facilmente è benigno perché si sente superiore.
Gli ultimi preparativi furono fatti in silenzio, il caffè fu preso in silenzio. Franco andò ad abbracciare lo zio che non aveva salutato la sera, poi entrò solo nell’alcova, si inginocchiò al lettuccio di Maria, sfiorò col labbro una manina che pendeva dalla sponda. Ritornando in salotto vi trovò Luisa con lo scialle e il cappello, le domandò se veniva a Porlezza anche lei. Sì, veniva. Tutto era pronto, la borsa a mano l’aveva Luisa, la valigetta era in barca, l’Ismaele aspettava alla scaletta della