Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
ore amare | 335 |
notte». Ebbe un momento l’idea di spogliarsi, l’abbandonò subito poiché sua moglie stava alzata a lavorare. Tolse una coperta, si coricò vestito, dalla parte del letticciuolo onde potersi tenere una manina di Maria che non dormiva ancora, e spense il lume.
Che dolcezza, quella manina cara! Franco la sentiva bambina, la sua figliuola, innocente, amorosa bambina, e la immaginava donna, tutta sua nel cuore, tutta unita a lui nelle idee come nei sentimenti, immaginava che quella manina stretta volesse compensarlo del dolore datogli da Luisa, dirgli: papà, tu e io siamo uniti per sempre. Dio, gli venivano i brividi a pensare che forse Luisa vorrebbe educarla nelle sue idee e ch’egli sarebbe lontano, non ci potrebbe far niente! Pregò il Signore, pregò il Maestro così dolce ai bambini, pregò Maria, pregò la santa nonna Teresa, pregò la sua propria mamma di cui sapeva ch’era stata tanto pura e tanto religiosa: «custodite, custodite la mia Maria!». Offerse tutto se stesso, la felicità terrena, la salute, la vita purché Maria fosse salva dall’errore.
«Papà», disse Ombretta. «Un bacio.»
Egli si sporse dal letto, si chinò a cercar con le labbra il caro visino e poi le disse di tacere, di dormire. Ella tacque un minuto e chiamò:
«Papà».
«Cosa?»
«Non ho mica il mulo sotto il guanciale, sai, papà.»