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ore amare 327

giustifica i mezzi. Il vero fine poi, per te, è colpire la nonna. Questa storia dell’Ospitale è il mezzo di giustificarlo. No, non mi servirò mai di quel testamento. L’ho anche dichiarato a Pasotti, con parole da farmi sputare in faccia se cambiassi! E parto domattina.»

Seguì un lungo silenzio. Poi le due voci ripresero il dialogo, gelate e tristi come se nell’uno e nell’altro cuore vi fosse adesso qualche cosa di morto.

«Hai pensato», disse Franco, «che farei anche disonore a mio padre?»

«In che modo?»

«Prima per la forma oltraggiosa delle disposizioni e poi perché farei supporre la complicità di mio padre nella soppressione del testamento. Già, tu non le capisci queste cose. Che te ne importa?»

«Ma non è necessario parlar di soppressione. Può darsi che il testamento non sia stato trovato.»

Nuovo silenzio. La stessa candela di sego che ardeva sulla tavola aveva una espressione lugubre. Luisa si alzò, raccolse da terra lo stivale del bisnonno e si dispose a incominciar il suo lavoro. Franco andò ad appoggiar la fronte alle invetriate della finestra. Vi rimase un pezzo, assorto nella contemplazione delle ombre della notte. Poi disse piano, senza volgere il capo:

«Mai mai l’anima tua non è stata tutta con me».

Nessuna risposta.

Egli si voltò, adesso, e domandò a sua moglie, affatto senza collera, con la dolcezza inesprimibile