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326 | parte ii - capitolo viii |
Franco che aveva risposto a Pasotti con furore, rispose ora mollemente a sua moglie.
«Sì sì sì, ma insomma...»
Adesso era lei che diventava violenta. L’idea che la nonna osasse proporre loro l’abbandono dello zio la faceva quasi impazzire. «Almeno questo», diss’ella, «mi consentirai, che pietà non ne merita! Dio mio, pensare che questo testamento c’è ancora!»
«Oh!», esclamò Franco. «Torniamo da capo?»
«Torniamo da capo! Hai tu il diritto di pretendere che io neanche pensi, neanche senta come non piace a te? Sarei vile, meriterei di essere una schiava, e non voglio poi essere né una cosa né l’altra.»
La ribelle intravveduta, sentita qualche volta da Franco attraverso l’amante, la creatura dall’intelletto forte sopra l’amore e orgoglioso, non potuta mai conquistare interamente, gli stava ora di fronte, tutta vibrante nella coscienza della sua ribellione.
«Va bene», disse Franco parlando a sè stesso. «Sarebbe vile, sarebbe schiava. Si ricorda Ella nemmeno più che domani vado via?»
«Non andar via. Resta. Eseguisci la volontà del tuo povero nonno. Ricordati quello che mi hai raccontato sulla origine della sostanza Maironi. Restituisci tutto all’Ospitale Maggiore. Fa giustizia.»
«No!», rispose Franco. «Chimere! Il fine non