Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
ore amare | 325 |
Luisa ebbe un sussulto nervoso delle spalle ma tacque.
«E perché non parlare, tu?», riprese Franco. «Perché non raccontarmi tutto subito?»
«Perché quando rimproverai Gilardoni egli mi supplicò di tacere ed io credetti, com’era anche vero, che fosse inutile, a cosa fatta, darti un dispiacere così grande. L’ultimo dì dell’anno, quando sei andato in collera, volevo dirtelo, volevo raccontarti ciò che mi aveva confidato Gilardoni, te lo ricordi? E tu non hai assolutamente voluto. Non ho insistito anche perché Gilardoni ha detto alla nonna che noi non ne sapevamo niente.»
«Non lo ha creduto! Naturale!»
«E se io parlavo cosa ci poteva far questo? Così Pasotti avrà ben capito che tu non sapevi niente!»
Franco non replicò. Allora Luisa gli chiese di raccontarle il colloquio e stette ad ascoltarlo senza batter ciglio. Ella indovinò, con l’acume dell’odio, che se Franco avesse accettato di entrare negl’impieghi, sarebbe venuta fuori l’ultima condizione: separarsi dallo zio, da un impiegato destituito per ragioni politiche. «Certo!», diss’ella, «avrebbe voluto anche questo! Canaglia!» Suo marito trasalì come se quella scudisciata avesse toccato il sangue anche a lui. «Adagio», diss’egli, «con queste parole! Prima, è una supposizione tua; e poi...»
«È una supposizione mia? E il resto? E offrirti una viltà simile?»