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324 | parte ii - capitolo viii |
non ne voleva, si mise a raccontar senz’altro come avesse saputo dal Gilardoni del malaugurato viaggio di Lodi. Parlava con voce tranquilla, non propriamente fredda ma triste, stando seduta alla tavola in faccia a suo marito. Mentre riferiva le confidenze del professore, Franco si riaccendeva, la interrompeva continuamente: «e non gli hai detto questo? - E non gli hai detto quello? - Non gli hai detto stupido? - Non gli hai detto bestia?». La prima volta Luisa lasciò correre, poi protestò. Aveva già detto di essersi sdegnata per lo sproposito del Gilardoni; pareva quasi, adesso, che suo marito ne dubitasse! Franco si chetò ma di mala voglia.
Quando il racconto fu terminato si scagliò ancora contro il filosofo balordo, tanto che Luisa lo difese. Era un amico, aveva errato gravemente, gravissimamente, ma con buona intenzione. Dove andavano a finire le massime di Franco, la carità, il perdono delle offese, s’egli non perdonava neppure a chi aveva voluto fargli del bene? Ella pensò, qui, cose che non disse. Pensò che Franco perdonava moltissimo quando a perdonare c’era follia e gloria e perdonava pochissimo quando c’erano semplicemente ottime ragioni di farlo. Franco, a udirsi parlar da lei di carità, s’irritò, non osò dire che si sentiva superiore a un attacco simile ma ritorse poco generosamente il colpo. «Ecco!», esclamò con una reticenza piena di sottintesi. «Tu lo difendi! Già!».