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ore amare | 323 |
perdono e la respinse. «Lo so, sì, lo so», diss'ella tornando appassionata al suo petto, «ma l'ho saputo dopo, quando era cosa fatta, ne ho avuto sdegno come te, più di te!» Ma Franco aveva troppo bisogno di sfogarsi, di offendere. «E come vuoi che ti creda?», esclamò. Ella indietreggiò con un grido, poi gli fece ancora un passo incontro, gli stese le braccia. «No», supplicò straziata, «dimmi che mi credi, dimmelo subito subito perché altrimenti tu non sai, tu non sai!»
«Cosa, non so?»
«Tu non sai come sono io che ti amerò ancora ma non vorrò più essere moglie per te, che potrò soffrir tanto ma non cambiare, mai più! Capisci cosa vuol dire mai più?»
Egli la trasse a sé, la sottile persona ansante, le strinse le mani da rompergliele e disse con voce soffocata: «ti crederò, sì, ti crederò». Luisa che lo guardava lagrimosa chiese una parola migliore. «Ti crederò», disse, «ti crederò?»
«Ti credo, ti credo.»
Lo credeva davvero ma dov'è ira è sempre anche orgoglio. Non volle subito arrendersi del tutto; il suo accento fu piuttosto d’un uomo compiacente che d’un uomo convinto. Restarono ambedue silenziosi tenendosi per le mani, cominciarono a sciogliersi l'un dall’altro via via con un impercettibile moto. Fu Luisa che infine, dolcemente, si staccò del tutto. Sentiva la necessità di troncar quel silenzio, parole calde non ne trovava, parole fredde