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314 | parte ii - capitolo viii |
liera della seggiola, teneva fra le mani un fazzoletto rosso e giallo di foulard, lo andava palpando.
«Dunque» diss’egli «caro Franco, come ti dicevo, si tratta del tuo viaggio di domani. Ho inteso dire oggi a casa tua che parti per affari: si tratta di vedere se io non ti porto un affare anche più grosso di quello che hai a Milano.»
Franco, sorpreso da questo inaspettato esordio, tacque. Pasotti chinò gli occhi sul fazzoletto senza restare di maneggiarlo e riprese:
«Il mio caro amico don Franco Maironi si può immaginare che se io entro in un argomento intimo e delicato, ho una ragione grave di farlo, sento il dovere di farlo e sono autorizzato a farlo.»
Le mani si fermarono, gli occhi brillanti e acuti si alzarono a quelli torbidi e diffidenti di Franco.
«Si tratta, mio caro Franco, del tuo presente e del tuo avvenire.»
Ciò detto, Pasotti posò risolutamente il foulard da banda. Appoggiate le braccia e giunte le mani sul tavolino entrò nel cuore dell’argomento tenendo sempre gli occhi su Franco che, raccolto alla sua volta indietro sulla spalliera, lo guardava pallido, in una ostile attitudine di difesa.
«È dunque un pezzo che io, per l’antica amicizia verso la tua famiglia, ho in mente di far qualchecosa onde metter fine a un dissidio dolorosissimo. Anche tuo padre, povero don Alessandro! Che cuor d’oro! Che bene mi voleva!» (Franco sapeva che suo padre aveva una volta minacciato