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ore amare 309

I Pasotti! In Valsolda di gennaio! Che ci venivano a fare? E quel saluto! Pasotti che dopo la perquisizione non si era fatto più vedere, Pasotti salutar così? Che voleva dir ciò? Franco, perplesso, salì in casa, diede la notizia. Tutti stupirono e sopra tutti la süra Peppina: «ma comè? El dis de bon? El sür Controlòr? Poer omasc! Anca la süra Barborin? Poera donnètta!» Si commentò il fatto. Chi supponeva una cosa e chi un’altra. Dopo cinque minuti Pasotti entrò strepitando, trascinandosi dietro la signora Barborin carica di scialli e di fagotti, mezza morta dal freddo. Povera creatura, non sapeva dir altro che «dò ôr! Dò ôr in barca!» mentre suo marito schiamazzava ghignando negli occhi diabolici: «le fa bene, le fa bene! Le ho cacciato giù un bicchierino di ginepro o a Porlezza. Ha fatto smorfie d’inferno, ma sta benone!» La povera sorda, indovinando che parlava del ginepro, girava gli occhi per il soffitto, rifaceva le smorfie di Porlezza. Pasotti non era mai stato così espansivo. Baciò la mano a Luisa, abbracciò l’ingegnere e Franco, accompagnando gli atti con effusioni e profluvi di sentimento. «Carissima donna Luisa! Signora ammirabile e perfetta. Car el me Peder! Car el me re de coeur! Il mondo è grande ma on alter Peder el gh’è propi no, va là! E questo don Franco! Caro il mio Francone! Pensare come t’ho veduto io! In sottane e grembialino! Quando andavi a rubar i fichi al prefetto della Caravina! Sto baloss chì!»