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ore amare | 303 |
«Oh e adesso contami!» diss’egli. «Che lavoro speri di trovare?»
«Per ora, nell’ufficio di un giornale a Torino, mi scrive T. Forse in avvenire si troverà qualche cosa di meglio. Se poi al giornale non potessi vivere e se non trovassi altro, ritornerei. Per questo bisogna tener la cosa segretissima, almeno per il primo tempo.»
Quanto al segreto, lo zio era incredulo. «E le lettere?» diss’egli.
Per le lettere era combinato che Franco scriverebbe a Lugano fermo in posta, che Ismaele porterebbe alla posta di Lugano le lettere della famiglia e ritirerebbe quelle di Franco. E che si doveva dire ai conoscenti? Si era già detto che Franco andava a Milano il giorno otto per affari e che sarebbe stato assente forse un mese, forse anche più.
«Questo dover infinocchiar la gente non è la più bella cosa del mondo» disse lo zio «ma insomma! — Io ti abbraccio adesso, neh, Franco, perchè so che domani mattina parti per tempo e oggi difficilmente saremo soli. Dunque addio. Ti raccomando tutto da capo e non dimenticarti di me. Oh, un’altra cosa. Tu vai a Torino. Io, come impiegato, ho inteso servire il mio paese. Non ho cospirato, non vorrei cospirare neanche adesso ma al mio paese ci ho sempre voluto bene. Insomma, salutami la bandiera tricolore. Ciao, neh!»
Qui lo zio aperse le braccia.