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ore amare | 301 |
«Sètet giò.»
Franco sedette.
«Dunque parti domani!»
«Sì, zio.»
«Bene.»
Parve che nel metter fuori quel «bene» il cuore dello zio gli fosse venuto in bocca, tanto la parola gli gonfiò le guance, gli uscì piena e sonora.
«Tu» riprese il vecchio «non mi hai udito fino ad ora, dirò così, approvare nè disapprovare il tuo progetto. Forse avrò dubitato un poco che lo effettuassi. Adesso....»
Franco gli stese ambedue le mani. «Adesso» continuò lo zio, tenendogliele strette fra le proprie «visto che sei fermo nella tua idea, ti dico: l’idea è buona, il bisogno c’è, va, lavora, il lavoro è una gran cosa, Dio ti faccia incominciar bene e poi ti faccia perseverare, ch’è il più difficile. Ecco.»
Franco gli voleva baciar le mani, ma lo zio fu pronto a ritirarle. «Lassa stà, lassa stà!» E riprese a parlare.
«Adesso senti. È possibile che non ci vediamo più.» Proteste di Franco. «Sì sì sì» rispose il vecchio ritirando l’anima dagli occhi e dalla voce «tutte belle cose, cose che bisogna dire. Lascia stare.»
Gli occhi ripresero la loro luce seria e buona, la voce il suo tôno grave.
«È possibile che non ci vediamo più. Del resto