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Stavolta la marchesa non potè a meno di fermarsi. Tuttavia non si voltò.
«Questo testamento non Le può piacere» soggiunse rapidamente il Gilardoni «ma io non ho l’intenzione di pubblicarlo. Mi ascolti, La supplico, marchesa!»
Ella si voltò. La faccia impenetrabile tradiva una certa emozione nelle narici. Neppure le spalle eran del tutto tranquille.
«Che storie mi conta?» rispose, «Le pare una bella convenienza di venire a nominarmi, così senza riguardi, il povero Franco? Cosa c’entra Lei negli affari della mia famiglia?»
«Perdoni» replicò il professore frugandosi in tasca. «Se non c’entro io, ci potrebbero entrare altri con meno riguardi di me. Abbia la bontà di vedere i documenti. Queste...»
«Si tenga i suoi scartafacci» interruppe la marchesa vedendogli levar di tasca delle carte.
«Queste sono le copie fatte da me...»
«Le dico che se le tenga, che se le porti via!»
La marchesa suonò un campanello e si avviò da capo per uscire. Il professore, tutto fremente, udendo venir un domestico, vedendo lei aprir l’uscio, gittò le sue carte sopra una seggiola, disse sottovoce in fretta e furia: «le lascio quì, non le veda nessuno, io sono al Sole, ritornerò domani, le guardi, ci pensi bene!» e prima che arrivasse il domestico, scappò per la parte ond’era venuto, tolse il ferraiuolo, infilò le scale.