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«Neanche, signora marchesa. Sono venuto per affari.»
«Bravo. È stato disgraziato col tempo. Mi par che piova, adesso.»
A questa impreveduta diversione il professore ebbe paura di perdere la tramontana. «Sì» disse egli sentendosi diventare sciocco come lo scolaro cui l’esame piega male: «pioviggina.»
La sua voce, la sua fisonomia dovettero tradire l’imbarazzo interno, apprendere alla marchesa che egli era venuto per dirle qualchecosa di particolare. Ella si guardò bene dall’offrirgliene il bandolo, continuò a parlargli del tempo, del freddo, dell’umido, di un raffreddore di Friend che infatti accompagnava di frequenti starnuti il discorso della sua dama. La voce sonnolenta aveva un placido tôno quasi ridente, una blanda benevolenza; e il professore sudava freddo al pensiero di fermare quella melliflua vena per offrir in cambio la pillola amara che aveva in tasca. Egli avrebbe potuto approfittar d’una pausa per metter fuori il suo esordio, ma non seppe farlo; e fu invece la marchesa che ne approfittò per metter fuori la sua chiusa.
«La ringrazio tanto» diss’ella «della visita, e adesso La congedo perché Ell’avrà le Sue faccende e, per dire il vero, ho un impegno anch’io.»
Qui bisognò saltare.
«Veramente» rispose il Gilardoni, tutto agitato, «io era venuto a Lodi per parlare con Lei, signora marchesa.»