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284 | parte ii - capitolo vii |
micerchio davanti al camino dove tre o quattro ceppi enormi ardevano adagio dietro la grata di ottone. L’aria aveva un odor misto di vecchie muffe, di vecchie pasticcerie, di vecchie mele cotte, di vecchie stoffe, di vecchia pelle, di decrepite idee, una sottile essenza di vecchiaia che faceva raggrinzar l’anima.
Il domestico ritornò ad annunciare, con grande emozione del Gilardoni, il prossimo ingresso della signora marchesa. Aspetta e aspetta, ecco aprirsi un grande uscio a fregi dorati, ecco un campanellino corrente, ecco Friend che trotta dentro fiutando il pavimento a destra e a manca, ecco una gran campana di seta nera sotto un cupolino di pizzo bianco, ecco fra due nastri celesti la parrucca nera, la fronte marmorea, gli occhi morti della marchesa.
«Che miracolo, professore, a Lodi?» disse la voce sonnolenta, mentre il cagnolino fiutava gli stivali del professore. Questi fece un profondo saluto e la dama che pareva appunto l’ampolla dell’essenza di vecchiaia, andò a porsi in un seggiolone accanto al fuoco e fece accomodare la sua bestiola in un altro; dopo di che accennò al Gilardoni di accomodarsi pure. «Suppongo» diss’ella che avrà qualche parente alle Dame Inglesi.»
«No» rispose il professore «veramente no.»
La marchesa era faceta, qualche volta, alla sua maniera. «Allora» disse «sarà forse venuto a far provvista di mascherponi.»