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282 parte ii - capitolo vii

guardò l’altro prete che subito trasse di tasca una corona e fattosi il segno della croce si mise a pregare. Il professore tornò a chiudere gli occhi e l’immagine del giovine sconosciuto si perdette per sempre nella nebbia come parevano perdervisi i rari fantasmi d’alberi, di pioppi e di salici, che passavano a destra e sinistra della via.

«Come incominciare?» pensava il Gilardoni. Dalla notte di Natale in poi non aveva fatto che immaginare e discutere fra sè il modo di presentarsi alla marchesa, di entrar nell’argomento e di svolgerlo, la capitolazione da offrire. Non aveva chiara in mente che quest’ultima; ove la signora marchesa facesse un largo assegno al nipote, egli distruggerebbe le carte. Queste carte non le teneva seco; ne aveva una copia. Doveano produrre un effetto fulmineo; ma come incominciare? Nessuno dei tanti esordii pensati lo accontentava. Anche adesso, fantasticando ad occhi chiusi, si poneva il problema partendo dal solo termine conosciuto: «Si accomodi. Cosa desidera?» immaginava una risposta che poi gli pareva o troppo ossequiosa o troppo ardita o troppo lontana dall’argomento o troppo vicina ad esso e ricominciava la via dal solito principio: «cosa desidera?»

Un livido chiaror d’alba, pieno d’uggia, di tristezza e di sonno, entrò nella diligenza. Adesso che l’ora del colloquio stava per giungere, mille dubbi, mille incertezze nuove mettevano in iscompiglio tutte le previsioni del professore. La stessa