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22 | capitolo i |
meno, un comune malcontento. Ciascuna volta che l’uscio si apriva, gli occhi spenti dell’una e gli occhi foschi dell’altra si volgevano là. Una volta entrò il prefetto del Santuario della Caravina col piccolo signor Paolo Sala detto «el Paolin» e col grosso signor Paolo Pozzi, detto «el Paolon» compagni indivisibili. Un’altra volta entrò il marchese Bianchi, di Oria, antico ufficiale del Regno d’Italia, con la sua figliuola, una nobile figura di vecchio cavalleresco soldato accanto a una seducente figura di fanciulla briosa.
Sì la prima che la seconda volta un’ombra di corruccio passò sul viso della Carabelli. Anche la figlia di costei girava pronta gli occhi all’uscio quando si apriva: ma poi chiacchierava e rideva più di prima.
«E don Franco, marchesa? Come sta don Franco?», disse il maligno Pasotti, con voce melliflua, porgendo alla marchesa la tabacchiera aperta.
«Grazie tante» rispose la marchesa piegandosi un poco e ficcando due grosse dita nel tabacco: «Franco? A dirle la verità sono un poco in angustia. Stamattina non si sentiva bene e adesso non lo vedo. Non vorrei...»
«Don Franco?» disse il marchese «È in barca. L’abbiamo visto un momento fa che remava come un barcaiuolo.»
Donna Eugenia spiegò il ventaglio.
«Bravo!» diss’ella facendosi vento in fretta e in furia. «È un bellissimo divertimento.»