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con gli artigli 235

non è il caso di dispiaceri e che anzi ha un obbligo particolare verso il Governo.» La marchesa non s’era mai udito parlare così alto e con tanto formidabile autorità. Era forse ai battiti dispettosi del cuore che rispondeva sopra al suo rigido busto il visibile ondulamento continuo del collo e del capo; ma pareva proprio il moto d’un animale che lavorasse faticosamente a ingoiar un boccone enorme. A ogni modo ella non piegò fino a dire una parola d’acquiescenza. Solamente, quando riprese la sua placidezza obesa, osservò che non aveva mai domandato di prendere provvedimenti contro nessuno, che se nella perquisizione non si era trovato niente a carico dell’ingegnere Ribera, ne aveva piacere; che del resto in casa Ribera se n’eran dette di tutti i colori e che i discorsi era difficile trovarli. Il cavaliere rispose, più mansueto, che non poteva dire se si fosse trovato niente o no e che l’ultima parola sarebbe stata pronunciata dal maresciallo, il quale intendeva occuparsi personalmente della cosa. Ciò gli diede modo di ritornar al discorso della villa di Monzambano. La chiese formalmente per Sua Eccellenza che intendeva venirci dentro otto giorni. La marchesa ringraziò dell’onor grande, disse che la sua villa non meritava tanto, che le pareva troppo angusta, che aveva bisogno di riparazioni, che bisognava dirlo a Sua Eccellenza. Avrebbe voluto differire, aspettar il prezzo sciagurato della sua condiscendenza, ma il cavaliere diede un altro colpo di artiglio e dichiarò