camera, si sciolse presto dalle sue braccia dicendole in francese che non conveniva dare spettacolo a quei signori. Prese la valigia, andò a porsi agli ordini dell’aggiunto.
Questi aveva la barca a cinquanta passi da casa Ribera, verso Albogasio, all’approdo che chiamano del Canevaa. Uscendo dal sottoportico cavalcato dalla casa, Franco si udì sopra la testa uno strepito d’imposte, vide batter sulla facciata bianca della chiesa il lume della sua camera e si voltò a dir verso la finestra:
«Manda a chiamar il medico, domattina! Addio!»
Luisa non rispose.
Quando i gendarmi arrivarono con l’arrestato presso il Canevaa, l’aggiunto comandò loro di fermarsi.
«Signor Maironi», diss’egli, «Ella ha avuto la Sua lezione. Per questa volta ritorni a casa Sua e impari a rispettare le Autorità.»
Meraviglia, gioia, sdegno scoppiarono nel cuore di Franco. Si contenne, però, si morse le labbra e si avviò a casa senza fretta. Non aveva ancora girato il canto della chiesa, che Luisa lo riconobbe al passo e chiamò:
«Franco?». Egli saltò avanti, fu visto, vide l’ombra di lei sparire dalla finestra, entrò in casa di corsa, si slanciò sulla scala gridando «libero, libero!» mentre sua moglie la scendeva a precipizio con una furia di «come come come?». Si