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risotto e tartufi 19

chiesa parrocchiale di Cressogno. Il curato e Pasotti fiutavano, tra un sospiro di dolcezza e l’altro, certo indistinto odore caldo che vaporava dal vestibolo aperto della villa.

«Ehi, risotto, risotto» sussurrò il prete con un lume di cupidigia in faccia.

Pasotti, naso fine, scosse il capo aggrottando le ciglia, con manifesto disprezzo di quell’altro naso.

«Risotto no» diss’egli.

«Come, risotto no?» esclamò il prete, piccato. «Risotto sì. Risotto ai tartufi; non sente?»

Si fermarono ambedue a mezzo il vestibolo, fiutando l’aria come bracchi, rumorosamente.

«Lei, caro il mio curato, mi faccia il piacere di parlare di posciandra» disse Pasotti dopo una lunga pausa, alludendo a certa rozza pietanza paesana di cavoli e salsicce. «Tartufi sì, risotto no.»

«Posciandra, posciandra» borbottò l’altro, un poco offeso. «Quanto a quello...»

La povera mansueta signora capì che litigavano, si spaventò e si mise a cacciar puntate al soffitto coll’indice destro, per significare che lassù potevano udire. Suo marito le afferrò la mano in aria, le accennò di fiutare e poi le soffiò nella bocca spalancata: «Risotto!»

Lei esitava, non avendo udito bene. Pasotti si strinse nelle spalle. «Non capisce un accidente» diss’egli, «il tempo cambia» e salì la scala seguito da sua moglie. Il grosso curato volle dare un’altra occhiata alla barca di don Franco. «Altro che Carabelli!»