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244 | parte ii - capitolo iii |
tante cose diverse che potevano accadere. Rotavano, per così dire, nella sua mente tutte le possibilità del momento, le sciagurate e le prospere. Se si fermava sulle prime, l’orrore la portava di slancio alle seconde; se si fermava su queste, la fantasia ritornava con avidità perversa alle prime.
Prima ancora di porre il piede nel corridoio del secondo piano, udì Maria piangere. Franco chiese all’aggiunto che permettesse a sua moglie di scendere dalla bambina ma ella protestò che voleva restare. L’idea di non essere con lui quando si scoprisse l’arma, l’atterriva. Intanto l’aggiunto entrò in uno stanzino dov’erano parecchi libri, trovò un’opera stampata a Capolago col titolo «Scritti letterari di un italiano vivente» e domandò: «chi è quest’italiano vivente?» «Il padre Cesari» rispose Franco, audacemente. L’altro ingannato da quella prontezza e da quel nome di frate, si diede l’aria dell’uomo colto, disse: «ah, conosco!» e ripose il libro, chiese dove dormisse l’ingegnere in capo.
Luisa era troppo soggiogata da un’angoscia sola per sentire altro, ma Franco, a veder entrare il birro e i suoi nella camera dello zio così pulita e ordinata, così piena del suo buono, pacifico spi rito, a pensar che colpo sarebbe per il povero vecchio una notizia siffatta, si sentì uno struggimento, una rabbia da piangere. «Mi pare» diss’egli «che almeno questa camera dovrebb’essere rispettata.»