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18 | capitolo i |
tolò fra i denti, con una forzata raucedine da barabba milanese:
«Antipatico.»
«Dicono ch’è così di talento» osservò il prete.
«Testa pessima» sentenziò l’altro. «Molta boria, poco sapere, nessuna civiltà.»
«È mezzo marcio» soggiunse. «Se fossi io quella signorina...»
«Quale?» chiese il curato.
«La Carabelli.»
«Tenga a mente, signor Controllore. Se i francolini e i tartufi bianchi sono per la «popòla» Carabelli, son buttati via.»
«Sa qualche cosa, Lei?» disse piano Pasotti con una vampa di curiosità negli occhi.
Il prete non rispose perché in quel punto la prora strisciò sulla rena, toccò all’approdo. Egli uscì il primo; quindi Pasotti diede a sua moglie, con una rapida mimica imperiosa, non so quali istruzioni, e uscì anche lui. La povera donna venne fuori per l’ultima, tutta rinfagottata nel suo scialle d’India, tutta curva sotto il cappellone nero dalle rosette gialle, barcollando, mettendo avanti le grosse mani dai guanti canarini. I due ricci pendenti a lato della sua mansueta bruttezza avevano un particolare accento di rassegnazione sotto l’ombrello del marito, proprietario, ispettore e geloso custode di tante eleganze.
I tre salirono al portico col quale la villetta Maironi cavalca, da ponente, la via dall’approdo alla