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210 | parte ii - capitolo iii |
di compromettente e non trovò nulla. Pensò ad una perfidia della nonna ma cacciò subito quest’idea, se ne rimproverò e rimise ogni decisione a più tardi, quando avrebbe parlato a sua moglie. Ritornò nel giardinetto dove il Commissario, appena lo vide, gli chiese di mostrargli certe dalie che la signora Peppina vantava. Udito che le dalie erano nell’orto, propose a Franco di accompagnarvelo. Potevano andar soli; tanto, gli altri erano profani. Franco accettò.
Il contegno di quel piccolo birro inguantato gli pareva molto strano; avrebbe pur voluto capire se potesse in qualche modo accordarsi con l’avvertimento misterioso.
«Senta, signor Maironi» disse risolutamente il Commissario quando Franco ebbe chiuso dietro a sè l’uscio dell’orto. «Le voglio dire una parola.»
Franco, che stava scendendo i due scalini appoggiati alla soglia della porta, si fermò e aggrottò le sopracciglia. «Venga qua!» soggiunse l’altro, imperioso. «Ciò che sto per fare è forse contro il mio dovere ma lo faccio egualmente. Sono troppo amico della signora marchesa Sua nonna per non farlo. Lei corre un gravissimo pericolo.»
«Io?», disse Franco, freddamente, «quale?»
Franco aveva rapida e sicura l’intuizione del pensiero altrui. Le parole del Commissario si accordavano bene con quelle portategli dalla Pasotti; pure egli sentì, in quel momento, che il piccolo birro aveva un tradimento nel cuore.