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206 | parte ii - capitolo iii |
testa piena di gendarmi, di perquisizioni, d’arresti, di terrori e di pianti.
Salì le scale del giardinetto Ribera, entrò difi lata in sala, vide gente, riconobbe il Ricevitore e l’I. R. Commissario di Porlezza, si sgomentò dubitando che fossero lì per il terribile colpo, ma vide pure la signora Bianconi, il signor Giacomo Puttini e respirò.
Il Commissario, seduto al posto d’onore, sul ca napè grande, presso l’ingegnere in capo, parlava molto, con grande facilità e brio, guardando di preferenza Franco come se Franco fosse il solo per il quale valesse la pena di spendere fiato e spirito. Franco stava in una poltrona, muto, ingrugnato quale chi sta in casa altrui e sente un puzzo che non può convenientemente fuggire nè maledire. Si discorreva della campagna di Crimea e il Commissario magnificava il piano degli alleati di attaccare il colosso in un punto vitale per le sue ambizioni, parlava della barbarie russa e persino dell’Autocrata in modo da far rabbrividire Franco per il timore di un’alleanza anglo-franco-austriaca e da far strabiliare il Carlascia che aveva le idee del 1849 e vedeva nello Czar un grosso amicone di casa. «E Lei, signor primo deputato politico» disse il Commissario volgendo il suo giallastro sor-