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la sonata del chiaro di luna, ecc. | 187 |
e di Albogasio come le arcate di Villa Pasotti, come le casette bianche dei paeselli più lontani, Castello, Casarico, S. Mamette, Drano, parevano guardare, come ipnotizzate, il grande occhio fisso della Morta del cielo.
Franco tirò i remi in barca. «Canta» diss’egli.
Luisa non aveva mai studiato il canto ma possedeva una dolce voce di mezzo soprano, un orecchio perfetto e cantava molte arie d’opera imparate da sua madre che aveva udito la Grisi, la Pasta, la Malibran durante l’età d’oro dell’opera italiana.
Cantò l’aria di Anna Bolena:
Al dolce guidami
Castel natìo
il canto dell’anima, che prima scende e si abbandona poco a poco, per più dolcezza, all’amore, e poi, abbracciata con esso, risale in uno slancio di desiderio verso qualche alto lume lontano che tuttavia manca alla sua felicità piena. Ella cantava e Franco, rapito, fantasticava che aspirasse ad essergli unita pure in quella parte superiore dell’anima che finora gli aveva sottratta, che aspirasse a venir guidata da lui, in questa perfetta unione verso la meta dell’ideale suo. E gli venivano le lagrime alla gola; e il lago ondulante e le grandi montagne tragiche e quegli occhi delle cose fisi nella luna e la stessa luce lunare, tutto gli si riempiva del suo indefinibile sentimento, per cui quando