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la sonata del chiaro di luna, ecc. 171

nel suo concetto della onestà la continuazione delle vecchie pratiche di famiglia, la professione della fede avita, presa come stava, alla carlona. Il suo era un Dio bonario come lui, che non ci teneva tanto alle giaculatorie nè ai rosari, come lui; un Dio contento di aver per ministri, com’era contento lui di aver per amici, dei galantuomini di cuore, fossero pure allegri mangiatori e bevitori, tarocchisti per la vita, franchi raccontatori di porcherie non disoneste a lecito sfogo della sudicia ilarità che ciascuno ha in corpo. Certi suoi discorsi scherzosi, certi aforismi buttati là senza riflettere sulla importanza relativa delle pratiche religiose e sulla importanza assoluta del vivere onesto l’avevano colpita fin da bambina, anche perchè la mamma se ne inquietava moltissimo e supplicava suo fratello di non dire spropositi. Le era entrato il sospetto che lo zio andasse in chiesa solamente per convenienza. Non era vero; non bisognava tener conto degli aforismi di uno che, invecchiato nel sacrificio e nell’abnegazione, soleva dire «charitas incipit ab ego:» e poi, quand’anche lo zio avesse stimato poco le pratiche religiose, a negar la vita futura ci correva ancora un bel tratto. Infatti, appena messo fuori il suo giudizio e uditolo suonare, Luisa lo sentì falso, vide più chiaro in sè stessa, intese di avere inconsciamente cercato nell’esempio dello zio un appoggio e un conforto per sè.

Il professore era tutto commosso di una rivelazione tanto inattesa.