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pescatori 157

sperato. Il Biancòn piglia il filo, lo raccoglie pian piano a sè. La tinca non si vede ancora ma deve esser grossa; il filo viene in su per un paio di braccia, poi è tirato furiosamente in giù; quindi torna a venire, viene, viene, e in fondo all’acqua, sotto il naso dei tre personaggi, balena un giallore, un’ombra mostruosa. «Oh la bella!» fa la signora Peppina sottovoce. Ratì esclama: «Madone, madone!» e il Biancòn non dice parola, tira e tira con cautela. È un bel pescione corto, grosso, dal ventre giallo e dal dorso scuro che viene in su dal fondo quasi supino e per isghembo, con mala volontà.

Le tre faccie non gli piacciono perchè volta loro di colpo la coda e sbattendola fa un’altra punta furiosa verso il fondo. Finalmente, spossato, segue il filo, arriva sotto il muro con la pancia dorata all’aria. La Peppina, rovescioni sul parapetto, stende giù quanto può la sua pertica per imborsar il malcapitato e non le riesce. «Per el müson!» grida suo marito. «Per la cua!» strilla Ratì. A quello strepito, alla vista di quel pauroso arnese, il pesce si dibatte, si tuffa; la Peppina si arrabatta invano, non trova il «müson» non trova la «cua;» il Biancòn tira, la tinca trascinata a galla si aggomitola e con una potente spaccata rompe il filo, strepita via tra la spuma. «Madòne!» sclama Ratì; la Peppina seguita a frugar l’acqua con la sua pertica; «dova l’è sto pess? Dova l’è sto pess?» e il Biancòn ch'era rimasto petrificato col filo in