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150 parte ii - capitolo i


Ratì rispose a precipizio come se recitasse la Dottrina Cristiana:

«Io quando sarò grande mi comporterò sempre da suddito fedele e devoto di Sua Maestà il nostro Imperatore nonchè da buon cristiano; e spero coll’aiuto del Signore diventare un giorno I. R. Ricevitore di dogana come mio zio, per andar quindi a ricevere il premio delle mie buone opere in paradiso.»

«Bravo bravo bravo» fece lo Zèrboli, accarezzando Ratì. «Seguitiamo a farci onore.»

«Ch’el tasa, sür Commissari» saltò fuori da capo la Peppina «che stamattina el baloss el m’à mangiaa foeura mèss el süccher de la süccherera!»

«Comè comè comè?» fece il Carlascia uscendo di tòno per la sorpresa. Si rimise subito e sentenziò: «colpa tua! Si mettono le cose a posto! Vero, Francesco?»

«Pròpe» rispose Ratì; e il Commissario seccato da quel battibecco, da quella ridicola riuscita della sua frase paterna, prese bruscamente congedo.

Appen partito lui, il Carlascia menò un «toeu sü el züccher, ti» e un formidabile scapaccione a Francesco Giuseppe che si aspettava tutt’altro e corse a salvarsi tra i fagiuoli. Poi aggiustò le partite di sua moglie con un buon rabbuffo, giurando che in avvenire lo avrebbe tenuto lui lo zucchero, e poichè ella si permise di ribattere «cossa te voeut mai intrigàt ti?» la interruppe