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132 | capitolo vi |
poltrona che non aveva più potuto lasciare dopo la notte del matrimonio. L’avevano poi adagiata sul divano disposto a letto funebre. Il dolce viso era là nella luce di quattro candele, cereo, sul guanciale, con un sorriso trasparente dalle palpebre chiuse, con la bocca semiaperta. Il letto e l’abito erano sparsi di fiori d’autunno, ciclamini, dalie, grisantemi. «Guardi com’è bella» disse Luisa con voce tenera e serena da spezzar il cuore. Il professore s’appoggiò singhiozzando a una sedia lontana dal letto.
«Lo senti, mamma» disse Luisa sottovoce «come ti vogliono bene?»
S’inginocchiò e, presa la mano della morta, si mise a baciarla, ad accarezzarla, a dirle dolcezze, piano; poi tacque, posò la mano, si alzò, baciò la fronte, contemplò a mani giunte il viso. Pensò ai rimproveri che la mamma le aveva fatti negli anni andati, dall’infanzia in poi, di cui ella si era risentita amaramente. S’inginocchiò da capo, impresse da capo le labbra sulla mano di ghiaccio con un più ardente spasimo di amore che se avesse ricordate le carezze. Poi tolse un ciclamino dalla spalla della morta, si alzò, lo porse al professore. Questi lo prese piangendo, s’accostò a Franco che rivedeva per la prima volta dopo quella notte, lo abbracciò e ne fu abbracciato con una commozione silenziosa, uscì, in punta di piedi, dalla camera.
Suonarono le otto. La signora Teresa era morta alle sei della sera precedente; in ventisei ore Luisa