Pagina:Piccolo Mondo Antico (Fogazzaro).djvu/133


il bargnif all'opera 129

ma questo non gli riusciva. Si mise a scozzar le carte per continuare il giuoco e il signor Giacomo guardò l’orologio, trovò che mancavano nove minuti alle sette, ora in cui era solito caricare il suo pendolo. Tre minuti di strada, due minuti di scale, non aveva più che quattro minuti per congedarsi. «Controllore gentilissimo, la ghe fazza el conto, la xè cussì, no ghe xe ponto de dubio.»

La signora Barborin, vedendo un contrasto, ne domandò a suo marito. Pasotti si accostò le mani alla bocca e le gridò sul viso: «el voeur andà a trovà la morosa!» «Cossa mai, cossa mai!» fece il povero signor Giacomo diventando di tutti i colori; e la Pasotti che per un miracolo aveva udito, aperse una bocca smisurata, non sapeva se dovesse credere o no. «La morosa? Off! Quanti ciàcer! Minga vera, sùr Giacom, che hin ciàcer? El podarìs ben avèghela per quell, disi minga, l’è minga vècc, ma insomma!» Capito che voleva proprio andarsene, cercò trattenerlo, aveva dei marroni di Venegonno che stavan cuocendo, li offerse. Ma nè i marroni, nè gl’improperi di Pasotti valsero a vincere il signor Giacomo che partì con lo spettro dell’I. R. Commissario nel cuore e insieme con una sensazione molesta nella coscienza, con un vago malcontento di sè ch’egli non sapeva spiegare a se stesso, col dubbio istintivo che le ingiurie della perfida servente fossero preferibili, in fin de’ conti, alle moine di Pasotti.

Invece costui aveva gli occhi ancora più brillanti