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126 | capitolo v |
Pasotti colse il suo momento, sperando, per giunta, fargli perdere il giuoco. «Dunque» diss’egli «mi racconti un poco. Quando è andato a Castello di notte?»
«Oh Dio oh Dio, lassemo star» rispose il signor Giacomo, rosso rosso, palpando le carte più che mai.
«Sì, sì, adesso giuochi. Parleremo dopo. Tanto, io so tutto.»
Povero signor Giacomo, sì, giuocare con quello spino in gola! Palpò, soffiò, uscì dove non avrebbe dovuto, sbagliò a contare i tarocchi, perdette un paio di frati con le relative pantofole, e malgrado il giuocone, lasciò alcune marchette negli artigli di Pasotti che ghignava e nel piattino della signora Barborin che ripeteva a mani giunte: «cos’ha mai fatto, signor Giacomo, cos’ha mai fatto?»
Pasotti raccolse le carte e si mise a scozzarle guardando con una faccia sardonica il signor Giacomo che non sapeva dove guardare.
«Sicuro» diss’egli. «So tutto. La signora Cecca mi ha raccontato tutto. Del resto, caro deputato politico, Lei ne renderà conto all’I. R. Commissario di Porlezza.»
Così dicendo, Pasotti porse il mazzo al Puttini perchè alzasse. Ma il Puttini, udito quel nome minaccioso, si mise a gemere:
«Oh Dio, oh Dio, cossa disela, no so gnente... oh Dio... l’Imperial Regio Commissario?... Digo... no savaria per cossa... apff!»