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122 | capitolo v |
matrimonio? E don Franco non veniva mai a Castello? Di giorno, no, va bene; ma...?
Come quando il chirurgo va interrogando e tastando un paziente in cerca dell’occulto posto doloroso, che il paziente risponde tanto più breve e trepido quanto più la mano indagatrice si appressa al punto e, appena essa vi arriva, trasalendo si sottrae; così la signora Cecca andò rispondendo al Pasotti sempre più breve e cauta, e a quel ma, posto delicatamente dove le doleva, scattò:
«Un poo de torta ancamò! Scior Controlòr! L’è roba d’i tosann!»
Pasotti sacramentò in cuor suo contro «i tosann» e la loro torta di miele, creta e olio di mandorle, ma credette utile d’ingoiarne un altro boccone e tornò poi a toccare, anzi a premere il tasto di prima.
«So de nagott so de nagott so de nagott!» esclamò la signora Cecca. «Ch’el proeuva a ciamagh al Pütin! Al scior Giacom! E a mi ch’el me ciama pü nient!» Ancora! Pasotti brillò in viso all’idea di avere il malcapitato sior Zacomo nelle granfie. Così brillerebbero gli occhi di un falco allegro all’idea di ghermir un ranocchio e di tenerselo fra gli artigli per giuoco e spasso. Egli se ne andò poco dopo, contento di tutto fuorchè della torta di creta che aveva sullo stomaco.