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il bargnif all'opera 119

mano, poi si avviò verso la riva di Casarico, a passi lenti, molto curvo, ma con gli occhi brillanti del barbone che ha fiutato in aria l’indirizzo recondito di un tartufo. Le spaventate difese di don Giuseppe, le difese ostinate della Maria, l’imbarazzo e lo scatto del professore gli dicevano che il tartufo c’era e grosso. Gli era venuta l’idea di andare a Loggio dove abitavano il Paolin e il Paolon, gente bene informata; poi aveva pensato ch’era martedì e che probabilmente non li avrebbe trovati. No, era meglio salir direttamente da Casarico a Castello, fiutare e frugare nell’abitazione di certa signora Cecca, ottima donna, tutta cuore, famosa per l’assidua vigilanza ch'esercitava dalle sue finestre, per mezzo di un formidabile cannocchiale, sulla Valsolda intera. Ella poteva dire ogni giorno chi fosse andato a Lugano col barcaiuolo Pin o col barcaiuolo Panighèt, notava i colloquii del povero Pinella con una certa Mochèt sul sagrato di Albogasio, lontano un chilometro; sapeva in quanti giorni il signor ingegnere Ribera avesse bevuto il bariletto di vino che la sua barca riportava vuoto dalla casa d’Oria alla cantina di S. Margherita. Se Franco era stato in casa Rigey, la signora Cecca doveva saperlo.

Nel sottoportico che da Casarico mette alla stradicciuola di Castello, Pasotti si sentì venir dietro a precipizio qualcuno che gli passò accanto nel buio, e credette riconoscere un tale detto «lègora fügada (lepre cacciata)» per la sua andatura sempre