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118 | capitolo v |
diss’egli «ad abbandonare la partita. La marchesa si capisce che abbia delle difficoltà, ma poi è buona, gli vuole un gran bene. Ha preso una paura, l’altra notte, povera donna!»
Guardò il professore che taceva inquieto, accigliato, e pensò: non parli? allora sai. «Capisce!» riprese. «Non dire dove si va! Non Le pare?»
«Ma io non so niente, io non capisco niente!» esclamò il Gilardoni, sempre più accigliato, sempre più inquieto.
Qui Pasotti sapendo che il professore aveva cessato da lungo tempo di visitare le Rigey e ignorandone la cagione, arrischiò un passo avanti, da bargnìf novizio.
«Bisognerebbe domandarne a Castello» diss’egli con un sorriso malignetto.
A questo punto il Gilardoni, che già bolliva, traboccò.
«Mi faccia il piacere, «diss’egli impetuosamente,» «lasciamo stare questo discorso, lasciamo stare questo discorso!»
Pasotti si rabbuiò. Cerimonioso, adulatore, sdolcinato, non era però mai disposto, nell’orgoglio suo, a prendersi pacificamente in faccia una parola spiacevole, e s’impermaliva d’ogni ombra. Non parlò più e passato un paio di minuti prese congedo con dignitosa freddezza, si ritirò masticando rabbia attraverso le barbabietole e le rape. Quando si trovò da capo nella contrada dei Mal’ari, il bargnìf stette un pezzetto a pensare col mento in