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il bargnif all'opera 115

mato, all’udirselo riferire, il Controllore gentilissimo con una faccia da «bargnìf» bilioso; aveva poi fatto tener dietro alla parola un ringhio spregiativo e uno sputo. Ciò non gl’impedì però adesso di stemperarsi in iscuse per aver indebitamente ritardata la sua visita, come non gl’impedì di sbirciar subito il volume posato sul tavolino rustico del belvedere. Il Gilardoni notò quell’occhiata e siccome si trattava di un libro proibito dal governo, appena avviata la conversazione, lo prese quasi per istinto e se lo tenne sulle ginocchia in modo che colui non potesse leggerne il titolo. Questa precauzione turbò Pasotti che stava magnificando la villetta e l’orto in tutte le loro parti col tono appropriato a ciascuna, le barbabietole con amabile familiarità, le agavi con ammirazione grave e accigliata. Un lampo di sdegno gli brillò negli occhi e si spense subito.

«Fortunato Lei!» diss’egli sospirando. «Se i miei affari lo permettessero, vorrei vivere anch’io in Valsolda.»

«È un paese di pace» fece il professore.

«Sì, è un paese di pace; e poi adesso, nelle città, chi ha servito il Governo, è inutile, non si trova bene. La gente non sa distinguere fra un buon impiegato che si occupi solamente del proprio ufficio come ho fatto io, e un poliziotto. Siamo esposti a certi sospetti, a certe umiliazioni...»

Il professore diventò rosso e si pentì d’aver levato il libro dal tavolino. Davvero Pasotti, mal-