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112 | capitolo v |
quanto vociasse, a farsi intendere, vi rinunciò, si prese il suo gattone in grembo e parlò a quello.
La povera signora Barborin, rassegnata, guardava il gatto con i suoi grandi occhioni neri, velati di vecchiaia e tristezza. Ecco finalmente Pasotti, ecco don Giuseppe che ricomincia a sbuffare:
«Ah Signor! Cara la mia sciora Barborin! Che la scüsa tant!» Avendo la Maria confessato al «scior Controlòr» che sua moglie e lei non erano riuscite a capirsi, il padrone le diede, per ossequio alla Pasotti, del «salamm» e poichè ella voleva pur difendersi, la fece prudentemente chetare con un imperioso agitar di mano e un «ta ta ta ta!» Poi le accennò misteriosamente del capo ed ella uscì. Pasotti le tenne dietro e le disse che sua moglie, dovendo recarsi a visitare i Rigey e non sapendo, per le voci che correvano, come regolarsi, desiderava qualche informazione dalla Maria, perchè «la Maria sa sempre tutto.»
«Quante chiacchiere!» fece la Maria, lusingata. «Io non so mai niente. Sa da chi deve andare la Sua «sciora?» Dal signor Giacomo Puttini. È il signor Giacomo che le sa tutte.»
«Bene!» pensò Pasotti collegando questo discorso con quello del mezzadro e fiutando una buona traccia. Fece in pari tempo una spallata d’incredulità. Il signor Giacomo sapeva forse le cose che succedevano nel mondo della luna, ma basta: altro non sapeva mai! La Maria insistette, il volpone cominciò a lavorar di domande, alla