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il bargnif all'opera 111

Don Franco era certamente andato in casa Rigey con fini onestissimi e...

«Pècia, pècia, pècia!» fece sottovoce, frettolosamente, don Giuseppe curvandosi tutto sul parapetto, stringendo la canna della lenza e ficcando gli occhi nell’acqua come se un pesce fosse per abboccare. «Pècia!»

Pasotti guardò anche lui nell’acqua, seccato, e disse che non vedeva niente.

«El se l’è cavada, el pütasca, ma el gaveva propi su el müson; l’avarà sentì a spongg» fece sospirando e raddrizzandosi don Giuseppe che intanto, avendo sentito egli pure il punger dell’amo, cercava di cavarsela come il pesce.

L’altro ritornò all’assalto, ma invano. Don Giuseppe non aveva veduto niente, non aveva udito niente, non aveva parlato di niente, non sapeva niente. Pasotti tacque e il prete non tardò molto a metter fuori anche lui una punta di timida malizia:

«Bochen propri minga, incoeu, non boccano; gh’è comè vent in aria.»

Intanto, in casa, il dialogo fra la Maria e la signora Barborin, dopo il primo affettuoso scambio di saluti riuscito benissimo, procedeva malissimo. La Maria propose, a gesti, di scendere in giardino, ma la Pasotti implorò a mani giunte d’esser lasciata sulla sua seggiola. Allora la grossa Maria prese un’altra seggiola, le si pose accanto, cercò rivolgerle qualche parola, e non arrivando, per