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la lettera del carlin 101

cese il lume e guardò l’orologio. Erano le tre e mezzo. Oramai gli sarebbe stato impossibile di riposare. Era troppo vicino il momento di ritrovarsi con Luisa, la sua immaginazione era troppo accesa. Ancora un’ora e mezzo! Egli guardava l’orologio tutti i momenti; questo benedetto tempo non passava mai. Prese un libro e non potè leggere. Aperse la finestra; l’aria era mite, il silenzio profondo, il lago chiaro verso il S. Salvatore, il cielo stellato. A Oria si vedeva un lume. Il suo destino era forse di vivere colà, in casa dello zio. Si mise, guardando distrattamente il punto luminoso, a immaginar l’avvenire, fantasmi che sempre mutavano. Verso le quattro e mezzo udì un tocco di campanello al piano inferiore, e poco dopo, il Pinella venne ad avvertirlo a nome del padrone, che, se voleva far la salita del Boglia, era tempo di mettersi in cammino. Il padrone aveva un gran dolor di capo e non poteva muoversi né riceverlo. Franco cercò sulla scrivania un pezzo di carta e vi scrisse:

«Parce mihi, domine, quia brixiensis sum.»

Poi uscì, fu accompagnato dal Pinella col lume fino al sottoportico tenebroso dove mette capo la strada di Castello e scomparve.