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100 | capitolo iv |
Franco si sentì quasi alzar da terra, respirò a pieni polmoni, contento di sé come un principe, illuminato e pacificato nell’anima da un sentimento misto di generosità e d’orgoglio. Malgrado tutta la sua fede e le sue pratiche cristiane egli era lontanissimo dal sospettare che un tale sentimento non fosse interamente buono e che una magnanimità meno conscia di sè stessa sarebbe stata più nobile.
Si lasciò cadere sulla spalliera della poltrona, disposto, meglio che prima nol fosse, al riposo, pensando tranquillamente alle cose lette, alle cose udite, come uno che per poco non si è lasciato prendere in una speculazione rischiosa e ne considera le angustie, i guai evitati per sempre. Avveniva pure in fondo all’anima sua un sommovimento di vecchie memorie. Gli tornò a mente la storia di un certo discorso fatto da una vecchia cameriera sulla ricchezza di casa Maironi che sarebbe stata rubata ai poveri. Egli era bambino, allora, e la donna non s’era fatto riguardo di parlare in presenza sua. Ma il bambino ne aveva riportato una impressione profonda, risvegliatagli più tardi, a mezza l’adolescenza, da un certo prete che gli avea raccontato in aria di segreto, con solennità e forse non senza intenzione, come la roba Maironi provenisse da una lite vinta, contro giustizia, all’Ospitale Maggiore di Milano.
«Così, per me», pensò Franco, «tutto è ritornato al diavolo.»
Gli venne in mente che potesse esser tardi, riac-