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la lettera del carlin 99

come gli sfoghi sconclusionati della gente di buon cuore e di cattiva testa. Si riscaldò perchè il Gilardoni resisteva, gli fece intendere che quel volersi sbarazzare a ogni costo delle carte era egoismo bell’e buono e che quando si fanno degli spropositi bisogna subirne le conseguenze. Le parole furono presso a poco queste; la faccia irritata e dura diceva molto peggio. Il Gilardoni, rosso rosso, fremeva tutto per quell’accusa di egoismo, ma si contenne: e fatto anche lui un fiero cipiglio, ripetendo «bene bene bene bene», intascò frettolosamente le carte e uscì senz’altro. Subito Franco, per soddisfazione della propria coscienza, si mise a persuader sè stesso che il signor Beniamino aveva tutti i torti possibili; torto di non avergli consegnato le carte molto prima, torto di essersi fatto pregare adesso per tenerle ancora, torto di essersi offeso. Sicuro di far la pace con lo sconclusionato filosofo, non pensò più a lui, spense il lume e ritornato alla sua poltrona, ripiombò nelle riflessioni di prima.

Adesso cominciava a vederci chiaro. Non poteva servirsi con dignità di quel testamento disonorante per la nonna nella forma e nella sostanza, nel sospetto che generava, considerata la lettera, di una soppressione delittuosa; poco onorevole anche per suo padre. No, mai. Conveniva dire al professore di bruciar tutto. Così, signora nonna, trionferò di te; facendoti grazia della roba e dell’onore senza curarmi di dirtelo! Assaporandosi questo proposito,