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V.

NEI CIELI E SOTTO I MARI


Più tardi, quando si potrà raccontare la guerra dei cieli, i nostri eroici aviatori diranno quante e quante volte, dagli spazi altissimi in cui navigavano securi, si sieno abbassati verso terra, sfidando il fuoco dei cannoni controaerei e i fasci di luce dei proiettori, per essere certi di colpire soltanto le opere militari, e non le case dei cittadini inermi, non gli ospedali, non le chiese e i monumenti.

Quando si potrà raccontare la guerra sotto ai mari, gli eroici comandanti dei nostri sommergibili diranno quante e quante volte abbiano renunziato ad una preda perfettamente legittima, per non arrischiare di colpire insieme una nave ospedale; e quante volte un piroscafo nemico sia andato ad ancorarsi, per isfuggire all’inseguimento, dinanzi ad una città aperta, così da non lasciarsi più distinguere dalle case della popolazione borghese, certo che allora nessun comandante italiano lo avrebbe colpito.

E i naufraghi nemici salvati dai nostri sottomarini? Vi figurate che voglia dire, per esempio, trarre dall’acqua uomini, talvolta donne e bambini, pazzi di terrore, morenti di freddo, di fatica, di fame, e farli passare dal boccaporto della torretta (per il quale voi ed io saremmo forse un po’ impicciati a passare, anche se ci trovassimo nel tranquillo bacino d’un arsenale!) e portarseli dentro a quella chiusa scatola d’acciaio ch’è lo scafo d’un sommergibile, dove ogni centimetro di spazio, ogni sorso d’acqua dolce, ogni boccata d’aria son misurati, e bastano appena per l’equipaggio? Immaginate