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Di professione era orologiaio, e si chiamava Vittorio; ma Naso aveva subito dichiarato che il nome del nostro Re non era roba per lui. Lo chiamavano in vece Donnetta, ed anche Saponetta, per certi pezzi di sapone che custodiva nello zaino come tesori. — tesori inutili, ahimè, tra tutto quel fango della trincea, dove l’acqua chiara era un lusso, e serviva solamente per bere.

— Ti laverai, sì, non dubitare; e ci laveremo magari un po’ tutti, quando avremo sbrigato le faccende grandi — gli diceva Naso, al quale non dispiace darsi ogni tanto l’aria di maestro con i compagni più giovani: — Che uno si lavi o no, che uno viva, che uno muoia, sono faccende piccole, come le rotelline dei tuoi orologi. Ma qui, una spinta uno, una spinta l’altro, qui si manda avanti la ruota del mondo, capisci? perchè la giustizia sia rimessa su in cima e splenda come il sole, e la prepotenza precipiti giù, infranta per sempre.

— Ma come parli bene, Nasone mio! — approvava ridendo il Diavolo Bianco; e apposta, perchè sapeva di toccare un tasto debole, domandava: — E quella del mangiare, dove la metti? Tra le faccende grandi o tra le piccole?

— Tra le grandi, tra le grandi, — rispondeva Naso allegramente: — Sacco vuoto non ista ritto, e se non ci si regge in piedi, nemmeno si può fare il proprio dovere per la Patria e per il Re.

Ed ecco che un giorno, mentre ragionano tranquillamente senza pensare alla guerra, arriva una pallottola stracca, di quelle che non vanno diritte al segno, ma sembrano girare per proprio conto, in cerca di qualche povero figliuolo dimenticato dalla sorte.

Questa volta il povero figliuolo è Saponetta, il quale sente come una violenta frustata alla gamba, e cade a terra stordito. La pallottola gli ha trapas-