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E l’infermiera si china sul letto di quel nemico tanto debole, da non poter accostare da sè il bicchiere alle labbra.

Quando finalmente il bombardamento è cessato, si riaprono le imposte.

La bella cupola della chiesa, a pochi passi dall’ospedale, è crollata: a traverso alla breccia aperta dai proiettili austriaci, il sole illumina il grande Crocefisso dell’altare, che solo è rimasto ritto in mezzo al cumulo delle macerie.

La cara, la bella chiesa del suo paese....

Alla vista di quella rovina, gli occhi dell’infermiera si riempiono di lacrime, ed il piccolo convalescente austriaco si ritrae dalla finestra come oppresso dalla vergogna.

Dinanzi alla donna italiana ch’è rimasta con loro nel momento del pericolo, egli si vergogna del modo di far la guerra, dei suoi fratelli austriaci, che non risparmiano nè le chiese nè gli ospedali.


IV.

L’ARDITO


Nel plotone di Naso e del Diavolo Bianco era capitato anche un giovinetto pallido, smilzo, timido, che di tutto aveva paura, di tutti aveva compassione.

Appena vedeva un po’ di sangue, fosse pure una sbucciatura da nulla: — Ah, che male deve fare! — sospirava; e pareva venisse male a lui, tanto si sbiancava in viso e le gambe gli tremavano.