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bito richiusi, o troppo stanco o troppo rassegnato ormai al destino.

Un giovinetto biondo convalescente è sceso dal letto e zoppicando è andato a spalancare le vetrate delle finestre e a chiudere le imposte. Si vede che ha pratica di quella musica.

— Sicuro; i vetri.... — L’infermiera si scuote e si affretta anch’essa ad aprire le vetrate.

Il Maggior medico si affaccia alla porta della corsìa: — Signorina, venga giù! Stiamo trasportando i nostri dal secondo piano al refettorio terreno. Questi, naturalmente, non si possono muovere: ci sono troppe scale e troppo poco posto.... Scenda, signorina!

I feriti non comprendono le parole, ma comprendono il gesto d’invito, e una espressione di ansietà si dipinge sui visi pallidi.

La voce della donna, che prima aveva tremato, ora è ferma: — No, grazie, signor Maggiore; rimango. Tanto, qui o giù è lo stesso, e se non si può portar giù anche loro....

Il Maggiore dice semplicemente: — Va bene, — ma dà un’occhiata di paterna approvazione alla figurina bianca: — Mi rincresce di non poter rimanere anch’io; ma debbo attendere al trasporto dei nostri.... — e ridiscende in fretta.

Un altro silenzio — la corsìa è quasi buia ora che tutte le imposte sono accostate — poi, uno scoppio tremendo, vicinissimo; un crollo, ed un crepitar di scheggie e di macerie contro il muro dell’ospedale.

— La chiesa! Questa è caduta sulla chiesa.... Un miagolìo, e poi un altro schianto, e un altro, e un altro....

— Questa è caduta nel cortile dell’ospedale ed ha abbattuto il muro di cinta. Pur che le scheggie non arrivino sino ai nostri malati, nel refettorio.... Fermo, Franz! Volete un po’ d’acqua?